ARTICOLATE BREVITÀ di Francesca Apruzzese
Quando mi alzai e presi a camminare, potei farlo del tutto normalmente, senza falsare i contorni degli oggetti. Lo spazio era sempre là, ma aveva cessato di predominare. La mente si interessava, soprattutto non di misure e collocazioni, ma di essere e significato. E con l’indifferenza per lo spazio venne una indifferenza ancora più completa per il tempo.
Le Porte della Percezione, 1954 di Aldous Huxley
Alle soglie dello sguardo: tempo, spazio, vuoto, ritmo. Questi gli elementi su cui lavora Alessandro.
I telai di Lonati sono superfici che si sviluppano in profondità, realtà spaziali tangibili dove ha inizio una nuova grammatica delle cose. Se la forma quadrata rimanda alla classicità e alla tradizione occidentale di proporzioni, l’alfabeto al suo interno crea una sintassi fatta di memorie in equilibrio e possibilità inespresse. Gli elementi che diventano interpreti privilegiati dell’alfabeto dell’artista sono frutto di ritrovamenti urbani, di memorie, di tempi lenti e di distanze. Distanze che vengono accentuate e intensificate in accostamenti acuti, inattesi e ricercati.
Come attimi di vitalità sospesa, Lonati fa vivere questi elementi oltre se stessi, emancipandoli dalla cornice del passato e liberandone le possibilità negate, il significato non ancora espresso e il ritmo nascosto.
Custode di questo modus operandi, Alessandro reinventa un ordine nuovo dove ogni elemento, in unione ed armonia con altri, rappresenta scandagli di realtà resi possibili dall’accostamento dell’artista e dallo sguardo di chi osserva.
Senza un vero e proprio inizio né fine, queste annunciazioni esigono da chi guarda tutto quel patrimonio di disponibilità che occorre per liberarsi dall’oggettività della forma e dalla concezione di ritmo, inteso come cadenza e ripetizione.
Parafrasando François Cheng, il ritmo è una forma di esistenza sorpresa, esso non si svolge nel tempo e nello spazio, ma genera il proprio spazio-tempo.
Quel ritorno periodico dello stesso, la cadenza, costituisce la negazione assoluta della creazione di un’imprevedibile e irriducibile novità di cui il ritmo rappresenta l’evento-avvento . Questo ritmo non è qualcosa che si può avere davanti a sé, non appartiene al dominio dell’avere ma alla dimensione dell’essere. “Noi siamo in presenza del ritmo. Presenti a esso ci scopriamo presenti a noi stessi.”1 Ecco perché le opere di Lonati sono spazi in potenza che prevedono lo sguardo attivo, curioso e attento, di chi osserva.
Le tensosculture ci costringono a combattere gli automatismi di visione della realtà: in un gioco di pieni e di vuoti, l’occhio viene catturato e sorpreso nel suo processo percettivo, fino al momento in cui si produce lo scatto della coscienza.
Restringendo il campo di visione a pochi elementi, l’artista mette in risalto il vuoto che ne modula la visione e stabilisce un rapporto armonico fra i diversi soggetti.
Lo spazio vuoto tra due elementi è la distanza che rende possibile e scandisce il ritmo dell’intera struttura: a zone di intensità continua corrispondono zone di silenzio assoluto. Ed è proprio l’esperienza di questo vuoto e di questa apertura , che trova nelle opere di Lonati una modalità esemplare del proprio accadere: attraverso le tensosculture si manifesta la possibilità di un ascolto, di una comunicazione e di una rivelazione che si sottrae alle normali categorie di pensiero.
Se da un lato le opere non smettono di sollecitare le nostre convinzioni e le nostre reazioni, dall’altro non fanno che mostrare il lato più intimo dell’artista, invitandoci all’ascolto, alla lentezza, al ritrovamento.