Non vogliamo altri eroi di Andrea Dusio
La Pop Art è sempre esistita. È più libera dell'arte alta, quella che nasce nelle accademie, ha una componente decorativa che spesso è legata alla ripetizione di motivi tradizionali. Si riconosce in alcune semplificazioni formali, e rispetto al linguaggio accademica, adotta in maniera meno sistematica proporzione e prospettiva. È per molti versi assimilabile all'artigianato, perché la tecnica e le abilità sono apprese per lo più in maniera informale, all'interno di contesti in cui la pratica è al centro dell'insegnamento, e le cognizione estetiche rivestono importanza minore. Spesso oggi gli artisti popolari operano in continuum con linguaggi territoriali sedimentati per generazioni, e li rielaborano attingendo a influenze e suggestioni esterne. La presenza del folclore si manifesta all'interno della produzione non solo negli aspetti formali, ma anche negli echi e richiami alle devozioni popolari, ai riti, alle festività, al patrimonio iconografico che impatta sulle arti minori, dalle statuette votive ai giocattoli, dai gioielli ai mobili, ai tessuti. Il teatro di strada derivato dalle sacre rappresentazioni e dagli intrattenimenti dei giorni di festa, la musica suonata in queste stesse occasioni, la cultura orale, contribuiscono a completare il campo dei materiali che l'arte popolare utilizza puntualmente per rigenerarsi, mantenendo una matrice riconoscibile anche nel quadro di radicali mutamenti socio-culturali.
Quella che invece chiamiamo Pop Art è una corrente che di popolare in senso stretto ha il target e l'immaginario, non i caratteri della produzione. Nasce alla fine degli Anni Cinquanta negli Stati Uniti, dall'osservazione della trasformazione della realtà quotidiana, che si va popolando di nuovi oggetti di consumo. Entrando nelle case degli Americani in quegli anni vediamo comparire frigoriferi, televisori, aspirapolvere, tostapane, lattine, poster, riviste di fumetti. Quel che fanno gli artisti pop è riprodurre questi oggetti isolandoli dal contesto e rappresentandoli come oggetti artistici evocativi della rinascita economica del Secondo Dopoguerra e della società dei consumi. Una delle caratteristiche del movimento Pop Art sin dalla fondazione è il focus sulla riproducibilità dell'opera d'arte e dunque sulla sua serialità.
In Italia la Pop Art si diffonde come nuovo linguaggio soprattutto a Roma, a partire dal soggiorno di Cy Twombly, e assume presto forme in cui viene recuperata la gestualità della pittura e dunque un carattere emozionale ed espressivo che mancano nella meccanicità della produzione e ri-produzione degli Americani. I nostri più importanti artisti pop sono in primis grandi pittori, in possesso di un bagaglio tecnico importante, e poi degli abili manipolatori delle immagini della contemporaneità. A partire dall'esperienza degli artisti di Piazza del Popolo prende forma una corrente che ripensa il clima di forte innovazione sociale e culturale che si va diffondendo a livello internazionale, nei modi di una figurazione critica che costituisce una delle matrici più interessanti della declinazione italiana di questo movimento di origine anglosassone. In tempi più recenti il recupero del pop nel contesto delle arti figurative avviene in modi che guardano contemporaneamente alla tradizione dell'arte rinascimentale e barocca e alla cultura americana, enfatizzando da un lato il debito pagato all'omologazione dei valori estetici e dall'altro contestando tiepidamente la colonizzazione dell'immaginario da parte della creatività commerciale.
In questo scenario, gli artisti siciliani, a partire dal pittore figurativo Giuseppe Veneziano, hanno per primi proposto un ritorno alla tavolozza della propria terra, ai colori che si vedevano sui carretti in legno impreziositi da intagli e decorazioni pittoriche.
Una traiettoria autonoma, segnata da un approccio che dall'accademia riconduce alla strada, e dalla pittura e scenografia alla scultura e alle luminarie, è quella di Domenico Pellegrino, artista originario di Mazzarino, dov'è nato nel 1974, in anni estremamente complicati per la Sicilia. Domenico ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Palermo, ma soprattutto ha osservato il padre pittore all'opera. Nel cuore della Vucciria, in un piccolo studio, è nata l'idea dei supereroi, sculture policrome e polimateriche, realizzate alterando sapientemente l'iconografia tradizionale dei personaggi Marvel e di altre grandi franchise comics con i modi della decorazione siciliana, in una sorta di horror vacui che esprime nei dettagli la natura barocca e teatrale di questi personaggi che restano sospesi tra due mondi. Non si tratta meramente di statue, ma di eroi in azione, modellati secondo i gesti, le posture, la plastica, la memoria cinematica. In questo sono ancora una volta squisitamente siciliani, perché come i pupi sono da considerarsi non oggetti installativi, ma presenze vive, che a seconda del contesto (parola sciasciana che ritorna con puntualità) assumono una carica grottesca, umorale, straniante, aggressiva, polemica, disincantata.
Credo che Domenico sia una sorta di antropologo ed etnografo. Ha scelto di lavorare con gli strumenti che sono propri della sua formazione, e di individuare come terreno della propria applicazione non le forme esteriori e risapute della sicilianità, ma la sua struttura interna, il suo carattere costitutivo, che corre come un fiume carsico sotto lo crosta della contemporaneità e del saccheggio della nostra tradizione, la sua commercializzazione e svendita. Il mito oggi, a teatro come in letteratura, nelle arti visive e performative, persino negli allestimenti del teatro greco, è rivisitato in chiave contemporanea, attraverso la lente deformante delle scienze sociali. Domenico Pellegrino rovescia l'ottica: prende gli archetipi della contemporaneità, della cultura apolide e spersonalizzata, priva di identità, e li filtra con gli utensili estetici di un mondo ancestrale, che si muove intorno a categorie estetiche appena sbozzate, di un'evidenza plastica che poi è andata smarrita. Bellezza, simmetria, proporzione, luce, colori. È un artista che opera di fatto come un agitatore culturale, portando la sua opera in spazi pubblici e trasformandoli con la capacità dei suoi supereroi di mettersi in rapporto con le architetture, svelando delle potenzialità evocative inesplorate di stanze, muri, passaggi, ambienti informali, luoghi storici. Il collezionismo privato che riguarda i suoi pezzi è da subito molto attivo, ma a mio parere questi anti-supereroi, che sotto la livrea marveliana nascondono una pelle imparentata non solo con la tradizione dello stucco, ma anche della grande ceramica siciliana, sono soprattutto capaci di disegnare nuove relazioni narrative tra pieni e vuoti, luci e ombre, condensazioni e rarefazioni.
Questi stucchi smaglianti come resine, che rappresentano l'esito più avanzato di una tradizione che al tempo del Serpotta dominava l'Europa, incarnano dunque una doppia natura mitica, un'identità che resta in bilico tra il moderno e l'antico, e svela l'uno attraverso l'altro. Mentre Capitan America lotta contro il suo avversario sembra misurarsi nel contempo con Hermes, dio degli atleti e dei viaggiatori, messaggero dell'Olimpo. È una tauromachia dell'anima: chi prevale in questo Doppelgänger, il soldato inventato dalla propaganda americana durante la Seconda Guerra Mondiale o il dio dalle molte risorse (polýtropos), gentilmente astuto, predone, guida di mandrie, apportatore di sogni, osservatore notturno? Gli eroi metropolitani delle città americane raccontate da chi tornava in Sicilia si mescolano alla memoria arcaica dei paladini che lottavano contro le invasioni dei mori. E la lotta di liberazione dell'Isola dalla presenza nazifascista riporta a un dato di fatto che non si può rimuovere: gli alleati furono a loro volta invasori e colonizzatori, e la Sicilia passò nuovamente da un padrone all'altro, conservando la propria identità come forma di resistenza prima e resilienza poi, contro la violenza della propria stessa storia, subita ed agita.
C'è sempre, come nella serie “Ritorneremo”, una stratificazione di messaggi, che corrisponde alla combinazione di diverse tecniche e materiali, tutti strettamente legati all'identità, ma che confluendo in un messaggio coerente alludono a una potente riflessione sulla nostra storia: luminarie e soldati, vecchie immagini delle città bombardate e supereroi, convivono in una sorta di sincretismo iconografico assolutamente nuovo, che si compone però di materiali della memoria. È una specie di celebrazione della volontà titanica dell'uomo, che si oppone alla forza immanente della Storia, ma anche della lucidità e del disincanto con cui osserva l'esito delle azioni degli eroi. Ecco perché, ricordando il titolo di una canzone che faceva da colonna sonora a una saga post atomica, ho deciso di intitolare questa monografica del lavoro di Domenico, incentrata proprio sui supereroi e sui pannelli di “Ritorneremo”, col titolo Non vogliamo altri eroi. Nella natura e nell'identità siciliane vivono, fortemente contrastanti, l'incanto e il disinganno, l'idea di invocare e appellarsi puntualmente a figure dotate di poteri straordinari e la lucidità di acclararne il miserabile fallimento. Mentre immagino le fiaccole del castello di Santa Severa rischiarare le Menzogne della notte, mi figuro Spider-Man sorpreso dalle torce su di un muro, immobilizzato come un enorme geco, quasi che sotto la texture multicolore dello stucco si celino le povere cartilagini di una lucertolina notturna, evanescente e gracile come un ectoplasma. I supereroi vivono e combattono la loro lotta in una sospensione della realtà, in un lockdown della ragione, dove ci si appella a cognizioni superiori, a poteri invincibili e indefettibili, magici, prorogabili sino a scadenza di un allarme che non c'è. Oggi che siamo sprofondati nella cupa notte di Gotham, e attendiamo messianicamente che ci venga indicata una salvezza, torniamo almeno in una notte di mezza estate a sorridere di poteri e super poteri, eroi e super eroi. Dietro a quel costume che sembra di resina sono in realtà figure di stucco, che Domenico ha modellato sapientemente lasciando i segni di un'imperfezione, a voler dire della loro natura caduca e mortale. Come la nostra.
“E cosi gli disse lo splendido figlio di Ippoloco:
«Magnanimo figlio di Tideo, perché domandi della mia stirpe?
Come è la stirpe delle foglie, cosi quella degli uomini.
Le foglie il vento le riversa per terra, e altre la selva
fiorendo ne genera, quando torna la primavera;
così le stirpi degli uomini, l'una cresce e l'altra declina.
Però se tu vuoi puoi conoscere bene
la nostra stirpe, la conoscono in molti.”
(Iliade, Libro VI).
di Helga Marsala
Una galleria di supereroi, rivisitati e corretti secondo un incastro singolare tra spirito pop e riferimenti folk, nel suo ciclo scultoreo Domenico Pellegrino reinventa alcuni noti personaggi dei fumetti facendone personaggi a dimensioni naturali, coloratissime presenze sceniche piombate a sorpresa in un tempo presente che si fa teatro di una bizzarra invasione fantasy.
L’Incredibile Hulk, Spiderman, Capitan America, Catwoman, escono dalle strisce dei comics per trasformarsi in oggetti tridimensionali dal forte impatto visivo.
Sembrerebbero quasi delle fedeli riproduzioni degli originali, copie conformi di quegli indimenticabili beniamini, che hanno accompagnato le fantasie di adulti e bambini: l’iperrealismo di Domenico Pellegrino però nasconde alcuni dettagli fuorvianti, elementi di disturbo che tradiscono l’immagine di riferimento.
Innesti decorativi, presi a prestito dalla tradizionale pittura di carretto siciliano compaiono sulla pelle dei personaggi, modificandone l’aspetto e qualificandosi come indizi rivelatori di senso.
Realizzate secondo tecniche artigianali tramandate da generazioni in generazioni, le strutture policrome – quasi classiche nell’intenzione, a dispetto del tema così popolare e ludico - ricalcano certi accenti propri della palermitanità, certe connotazioni caratteriali o culturali afferenti al territorio di riferimento.
Nei dettagli iconografici, negli innesti decorativi, in alcune caratteristiche appositamente esasperate o rivedute, i superoi di Pellegrino diventano guerrieri o salvatori di un presente reale pieno di pericoli ed insidie: un ironica trasposizione attualizzata di quel mondo di carta, di plastica o di celluloide da cui i nostri eroi sono stati partoriti.
Il Mito contemporaneo di Enrico Mattei
Come nasce una mostra? È una di quelle classiche domande che implica una diversità e una quantità di risposte infinite e forse mai nessuna sarà completamente esaustiva a riguardo. Nel nostro specifico campo di azione palermitano, qui a Palazzo Forcella, la mostra nasce dall’idea di coniugare quella realtà odierna tra arte contemporanea e storia, contaminazioni che dialogano tra loro in modo naturale e che evidenziano il rapporto tra le pratiche artistiche del nostro tempo e i contesti ambientali, tanto urbani che naturali, caratterizzati da una forte presenza storica. L’arte è sempre contemporanea, quindi non si tratta di una gara o di un’applicazione di elementi da contrapporre, quanto una propensione a un’apertura che convalida il passato, rendendolo un ponte per un futuro in cui si transita senza soluzione di continuità. L’interazione fra l'arte del passato e quella contemporanea non appare infatti come una forzatura estetica, ma come lo strumento per consentire ad un grande pubblico, non necessariamente di addetti ai lavori, di accedere a luoghi di grande suggestione e di avvicinarsi all'arte contemporanea che spesso resta confinata ai margini dell'interesse dei visitatori.
I supereroi dei fumetti americani e le luminarie siciliane sono i soggetti presentati in mostra da Domenico Pellegrino rappresentando la sua tradizione. Il suo essere artista si tramuta, diventa un protagonista all’interno della scena, da semplice esecutore materiale, da mero mezzo espressivo, diventa il protagonista del suo fare artistico, realizzando le opere con le proprie mani l’artista riesce ad avere un rapporto con ciò che fa, trasmettendo al manufatto una personalità che non si limita soltanto all’estetica, ma soprattutto all’anima di ciò che crea.
I supereroi fanno parte di un mondo preso in prestito e personalizzato secondo le varie esigenze espressive: gli americani hanno sempre avuto un peso mediatico forte sull’Italia e sull’italiano. La dipendenza italiana dagli Stai Uniti prese avvio nell’ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, durante lo sbarco alleato in Sicilia in cui vennero poste le premesse per la futura collocazione geopolitica del nostro paese. Alcune immagini pittoriche nell’articolato percorso espositivo ci portano indietro nel tempo e proprio a quel dopo guerra in cui vediamo questi attori, questi supereroi che si pongono con un certo distacco dalla scena, dagli edifici della Palermo bombardata, quasi degli spettatori. In alcuni lavori proposti sembrano non curanti della scena che hanno alle loro spalle e in altri sembrano interessati ad essa ma con un senso di straniamento, di dubbio, guardano a questi luoghi come a voler dire: chi ci ha salvato, sostanzialmente ci ha anche distrutto! Il vero salvatore ed eroe per l’artista è il siciliano stesso che dopo la guerra riesce a ricostruire l’intero paese, una rinascita grazie alla coscienza dei Palermitani che si ribellano e si riprendono le proprie origini, l’indole del siciliano è rispolverare e ricostruire, diventando sia eroe che salvatore di se stesso. I supereroi sono proprio loro, le persone comuni, identificate nei personaggi dei fumetti americani come Capitan America, Spider-man, Batman, Hulk, Catwoman, Silver Surfer, etc. che a loro volta sono paragonati dall’artista agli Dei dell’antichità greca e romana. Se osserviamo questo ciclo di sculture che all’interno della mostra occupano due delle tre stanze e vengono disposte nello spazio in base alla loro dimensione, notiamo come ad un primo sguardo siano certamente riconoscibili quei tratti del costume che rendono celebri questi eroi in calzamaglia, ma dopo nello specifico e nel dettaglio, vengono alla luce quelle icone e quei simboli propri della Sicilia che fanno diventare questi costumi rivisitati e carichi di quella tradizione siciliana a cui si accennava in precedenza. È come se i siciliani si vestissero con la loro stessa storia, è un atto di trasformazione nel loro abbigliamento grazie ai decori e le trame che troviamo sui carretti siciliani dipinti o nelle vetrate delle chiese, un costume che nella volontà di Domenico Pellegrino rimane non perfetto, la superficie, l’involucro, il rivestimento di questi supereroi non è levigata ma ruvida, non rifinita; le opere diventano delle sculture imperfette perché rappresentano l’uomo nelle sue complessità e in particolare nel suo essere non perfetto, terrestre e popolare.
L’artista vede in Spider-man il Dio Apollo, unica divinità che rimane con il solito nome sia nel culto romano che in quello greco, in Capitan America il Dio Hermes, in Catwoman la Dea Afrodite etc. vuole mettere in luce la dualità e il rapporto tra gli Dei della mitologia greca, romana e i suoi supereroi, nuovi Dei contemporanei, che contaminano il territorio e vengono posizionati sempre come statue sui palazzi, luoghi cittadini, interni di case con la costante vicinanza ai fiumi e al mare perché è proprio l’acqua che bagna l’isola della Sicilia dall’interno all’esterno identificando ancora una volta l’essere siciliano nei personaggi.
Un altro elemento nel modo di allestire queste sculture nel tessuto cittadino, è che non occupano mai al centro della scena, rimangono in disparte, ma con la voglia di apparire e rivelare la loro vera identità. La sicilianità dell’autore è il filo conduttore che unisce le sue opere e può essere percepita in due modi: quello stilistico in cui predominano i colori, i simboli e la storia, e quello in cui esiste un rispetto della materia e dell’oggetto finito. Paragonare i supereroi alle divinità, non è solo un motivo da parte di Pellegrino per rimarcare il suo essere siciliano nelle opere ma appartiene alla nascita del fumetto, in particolare agli eroi in calzamaglia: primo tra tutti è proprio Superman che sarà il capostipite delle generazioni future. Gli autori guardavano alle divinità come a un modello da seguire, un ibrido tra l’eroe e il Dio. Ciò che accomuna e ha reso famoso nel tempo questo genere di fumetto è stata proprio la differenza di funzione all’interno della società: un elemento che, evidentemente, distingue i supereroi dagli eroi mitici e dalle divinità, è, che le loro imprese vengono collocate nella contemporaneità, o comunque su un piano storico, non su quello atemporale del mito, diventano i protagonisti dei nostri anni e delle nostre odierne città. L’idea di Pellegrino del supereroe come uomo comune è proprio una delle caratteristiche che ha reso questo genere fumettistico ancor più famoso. Nonostante siano dotati di super poteri questi personaggi sono mortali avvicinandosi ancora di più all’uomo comune: come ad esempio Batman, un eroe i cui poteri non sono innati, ma creati e costruiti sfruttando la scienza e la tecnologia; Pellegrino sottolinea l’umanità di questo eroe e l’artificiosità dei suoi poteri.
Il supereroe cela sempre la vera natura, il suo essere una creatura eccezionale sotto la maschera della banalità di un uomo comune; ognuno di noi può riconoscersi e immedesimarsi in loro, come l’artista vede i suoi concittadini.
Pellegrino nelle sue opere così ricche di ironia, nasconde dei messaggi sociali: Capitan America e l’Uomo Ragno nei loro gesti e posizioni esprimono un attacco alla mafia, sferrando un pugno, simboleggia la lotta del bene contro il male. Un altro simbolo si ritrova sullo sfondo della foto di Catwoman, unica figura femminile, dove appare il santuario di Santa Rosalia, che nel 1624 scacciò la peste da Palermo, divenendo la protettrice della città. L’Uomo Ragno nella sua posizione frontale ricorda chiaramente il simbolo della Trinacria, di conseguenza la bandiera siciliana e i suoi nessi con Apollo, Dio di tutte le arti.
La modalità di approccio al classico da parte dell’artista è quella che guarda con particolare attenzione all’antichità greca e romana come alle proprie radici culturali dove la Sicilia diventa l’energia primaria del suo lavoro. Nella sua ricerca troviamo un tipo di poeticità con un grado minore di sofferenza a differenza di altri artisti contemporanei che guardano e s’ispirano al classico. Le sue opere non sono mai struggenti o melanconiche, ma al contrario possono essere allegre e colorate, a questa vivacità poetica aggiungono la ricercatezza del riferimento culturale raffinato.
La terza e ultima stanza è focalizzata sulla luce e in particolare sul ricamo, le famose luminarie, che anche in Sicilia, ricoprono un ruolo centrale nella vita religiosa e culturale della gente. I riti legati alle feste dei vari santi patroni di ogni comune, paese e rione di questa regione sono quasi sempre accompagnati da manifestazioni folcloristiche, tradizionali e culturali dell'isola. Le più belle feste sono caratterizzate dalle luminarie con le quali Domenico Pellegrino è cresciuto e anno dopo anno, si è deliziato di questo spettacolo, ammirandolo e toccandolo come fosse una vera e propria opera d’arte. Qui l’aspetto di vivacità e allegria viene fuori grazie al recupero di quegli oggetti quotidiani e di uso comune come avviene con i supereroi, un percorso già avvenuto tra il pop e il folk, l’unica differenza, è il passaggio, che accennavo all’inizio, l’artista finalmente si sente protagonista della sua arte. Senza dubbio l’artista contemporaneo rappresenta il migliore attore per operare il recupero degli insegnamenti del passato artistico quale ispirazione per il presente e questa serie di opere divise in tre stanze può esserne la testimonianza: nella sua pratica di attualizzazione, infatti, egli svolge un’ineludibile funzione pedagogica e didattica. Le luminarie si prestano maggiormente in questo percorso perché portano con loro un tipo di lavorazione che comprende la scultura, la pittura e l’installazione. Domenico osservando le anziane signore che alacremente lavoravano ai loro centrini all’uncinetto ne rimase talmente affascinato da creare una serie di proiezioni luminose intitolate “Dote al Tempietto”, che si evolverà in una serie di ricami dal titolo “Lumi”. In questi ultimi lavori la tradizione siciliana viene enfatizzata grazie al sapiente utilizzo dei ricami, la precisione e la perfetta rifinitura dei dettagli; questa cura del particolare non è riscontrabile nelle sculture degli eroi in calzamaglia, che sembrano essere imperfetti.
L’arte di Domenico Pellegrino è a tratti ironica e onirica, le sue creazioni intendono indagare i modi e le forme attraverso le quali l’artista contemporaneo s’ispira all’antico, creando così un ponte tra i secoli contribuendo ad avvicinare simboli del passato, in modo da rinegoziare il senso e valorizzandone la testimonianza. I suoi temi figurativi interpretano nel contemporaneo elementi che, appartengono ad una consapevolezza figurativa che risale alla notti dei tempi, contaminazioni tra miti e culti dell’antichità si riuniscono e si fondono in una nuova immagine dove le varie tecniche utilizzate sono riunite nel sapere abile dell’autore.
“Capitan America” di Domenico Pellegrino di Paolo Falcone
Nell’evoluzione dell’opera scultorea un peso è certamente determinato dalla posizione assunta da artisti che ne hanno dato forme e contenuti di matrice sia iperrealista che concettuale. Opere che creano uno scarto visivo nel quale l’opera assume differenti significati e ne definisce dei ruoli. Tra questi fenomeni di rappresentazione certamente Domenico Pellegrino, artista ed espressione della nostra Sicilia, ne rappresenta un epigono.
Le opere scultoree della produzione recente di Pellegrino hanno per oggetto fantomatici personaggi prelevati dall’immaginario popolare, quale il fumetto, attraverso la maestria della trasformazione della materia divengono opere dal forte impatto visivo. Sculture nelle quali prendono vita gesta e azioni che traslate dal fumetto all’arte, restituiscono una visione della rappresentazione che viene trasformata al fine di ri-definire una ironica interpretazione ed enfatizzare le azioni.
A Salemi, l’artista realizza un grande Capitan America, icona dei cartoon della metà del secolo scorso, personaggio che ha certamente contribuito alla creazione di quel sogno americano, che attraverso il fumetto, ne ha costruito un mito che ha assunto un ruolo politico, strategico e culturale nell’affermazione della potenza che il Paese intendeva rappresentare. Domenico Pellegrino ne coglie le aspirazioni e le trasforma in sculture icone, le ridefinisce e ne enfatizza gli aspetti più intimi, restituendo all’opera l’idea del concetto di mito e di rivisitazione contemporanea dello stesso.
Capitan America è il mito più umano per eccellenza, un super eroe senza poteri che nell’immaginario dell’artista diviene il soggetto preferito, perché vicino all’essere quell’uomo qualunque dai forti valori, portatore di quel riscatto nel quale l’artista vede aspirazioni ed attese. Un eroe quasi normale, che intende creare un gioco di significati, che offrirono una possibilità reale di affermazione. Qui assume però una veste ancor più calata nel territorio nel quale Domenico Pellegrino opera e produce, dove il costume del super eroe assorbe in sé culture e contrasti nei quali, sincreticamente, fonde il vestito originario a quegli elementi pittorici fecondi nella tradizione popolare siciliana, che vede nella pittura a vetro di tardo settecento prima e in elementi decorativi che dal carretto siciliano al teatro dei Pupi poi, la sua massima espressione.
Ecco quindi questo moderno Capitan America in salsa siciliana invadere le sale del Museo della mafia, quale simbolo iconografico di quell’aspirazione che pone al centro lo scontro tra il mito e la tradizione in uno scontro tra “culture”. Capitan America lotta contro Teschio Rosso quale metafora della lotta dell’affermazione della legalità in contrasto alla cultura espressa dalle mafie, che per anni hanno abitato e trasformato la nostra isola e trova in Salemi una casa nella quale porre questo incrociato gioco di significanti e di significati contrastanti.