Donatella Simonetti

Italia


Donatella Simonetti nasce a Urbino nel luglio dell’82. Compie a Como gli studi classici e dopo il diploma si sposta a Milano, dove studia fotografia allo IED. E’ in questi anni che si sviluppa la sua attitudine per la fotografia d’architettura e per gli scenari urbani; Milano è spesso fonte di ispirazione per catturare angoli della città da diverse prospettive, per lo più prive della figura umana. Terminati gli studi, porta avanti il suo lavoro tra Milano, la Svizzera e Como, dove vive... [Continua a leggere]

Atelier di Donatella Simonetti


Informazioni su Donatella Simonetti


Donatella Simonetti nasce a Urbino nel luglio dell’82. Compie a Como gli studi classici e dopo il diploma si sposta a Milano, dove studia fotografia allo IED. E’ in questi anni che si sviluppa la sua attitudine per la fotografia d’architettura e per gli scenari urbani; Milano è spesso fonte di ispirazione per catturare angoli della città da diverse prospettive, per lo più prive della figura umana. Terminati gli studi, porta avanti il suo lavoro tra Milano, la Svizzera e Como, dove vive attualmente. La sua ricerca attuale prosegue sul doppio binario dell’architettura contemporanea e di tematiche più introspettive, in cui rientrano i temi del ricordo personale, del rapporto tra realtà e finzione, del viaggio. Negli ultimi anni ha esposto a Como, Milano e Berlino. Attualmente collabora con diverse aziende come fotografa industriale e con riviste d’architettura e ha da poco pubblicato un libro di textile design, sua grande passione.

MOSTRE PERSONALI

2016

-‘Biennale di Venezia’, Arsenale, Padiglione Svizzero insieme a Filippo Simonetti – Progetto di Luigi Snozzi

2013

- ‘Luce negli occhi’, Fondazione Mediaterraneo, Sestri Levante

2012

- ‘Nuvole’, Como

2009

- ‘Die Lucke’, Galleria Aus 18, Milano

2008

–‘Blu sospesi’, Ex chiesa di San Pietro in Atrio, Como / Spazio Camagni, Cantù (Como)

2007

- ‘Impressioni Spagnole’, Spazio Tasca, Milano.


MOSTRE COLLETTIVE

2017

- ‘Vasi comunicanti’ Triennale, Milano

- ‘Parallax Art Fair’ – Chelsea - London

2016

- ‘La perseveranza’, chiesa di San Zenone, Brescia

- ‘Percezioni’, ex chiesa di San Pietro in Atrio, Como

2015

- ‘Le stanze dell’arte’, Caserme di Como

2013

- ‘Obiettivo città murata’, Spazio Natta, Como

2012

- ‘La città in lettere’ – Spazio Officina, Chiasso

2009

- ‘Das Weiche’ – Galerie Foto-Shop, Berlin

- ‘Nacht’- Galerie Foto-forum, Bolzano

2008

- Com’On – Giovani artisti comaschi interpretano l’architettura - a cura di Roberto Borghi

2005

- Lariofiere Erba (Como)

2004

- ‘Universi paralleli’, Biblioteca Sormani, Milano / Spazio Comune, Bollate.

- ‘Oceano Mare’, Teatro Villoresi, Monza / Teatro Belli, Roma.

LIBRI

2015

- '7 Colours'

- BRUNATE '50 cose da scoprire'

2017

- ARZO 'Il risveglio delle cave'

 

It must be the place Architettura, paesaggio, astrazione

“Dopo aver girato per la città, nel paesaggio o nell’ambiente che è oggetto della mia indagine, mi fermo solo quando ho focalizzato un posto ben preciso e lì mi concentro e mi dedico allo scatto che è l’emblema di quel luogo e racchiude la mia ricerca”.
Donatella Simonetti con il gusto per la flânerie va alla ricerca dell’attimo di eterna bellezza in un paesaggio naturale e costruito, tra scorci di città e natura. Il suo girovagare trova sosta solo nel momento in cui il luogo si rivela come un’epifania davanti all’obiettivo. L’architettura primordiale di Alvaro Siza, immortalata al Giardino delle Vergini di Venezia, in occasione della biennale 2018, ben rappresenta la ricerca della fotografa declinata tra geometrie e giochi di luci e ombre che mimano disegni sapienti e tavole pittoriche. Ci sono muri, simili a quinte, che cingono e al contempo lasciano liberi di fare un percorso all’ombra di chiome di alberi e tronchi. Sono stanze a cielo aperto, cristallizzate nel tempo e nello spazio, che racchiudono il senso del limite e fanno intravedere l’infinito delle possibilità. L’alfabeto espressivo di Donatella Simonetti guida lo spettatore a vedere forme celate, opera come un telescopio o un microscopio, che dilata o rimpicciolisce, mostra quello che è nella sua mente e non la nuda e cruda realtà. Lo skyline e i tetti di Creta, con il suk di antenne, parabole e pensiline, si trasformano in un insieme di ordinato di linee, forme e colori. Probabilmente ricordano la vocazione di uno sguardo cresciuto nella città dell’astrattismo geometrico, la Como di Mario Radice, Manlio Rho, Aldo Galli e Carla Badiali, ma anche dei razionalisti Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Pietro Lingeri che hanno trasformato le sponde del Lario in un museo a cielo aperto. Le textures inconfondibili della corteccia di un tronco di Eucaliptus, in un villaggio abbandonato in Grecia, diventano il pretesto per dialogare con la poesia dell’intorno segnato dalla eco lontana del pullulare della vita, da simulacri di architetture, quasi impercettibili, come relitti di una gioia passata. Cromatismi ben calibrati, distensivi e declinati sui toni dell’amato blu, che si mescolano al grigio polvere, compongono un trittico fotografico dal sapore pittorico in omaggio alla Grecia; a partire dal mare, che emerge in un tripudio di linee e di azzurri , visto da una ringhiera, per continuare con uno scorcio di case e di cielo immortalato al crepuscolo e poi finire con il minimalismo di una colonna, simbolo di una cultura antica e di una civiltà, che guarda ad un muro e disegna una felice astrazione geometrica. Il linguaggio fotografico esplora altre possibilità, che vanno oltre lo spazio e il tempo, quando
indaga la materia grezza uscita dalla fucina di un’industria. Così una visione d’insieme di alcuni metalli dà l’idea di un’ipotetica Manhattan e delle mille luci di una città fantastica. Invece l‘incontro tra l’acqua e una lastra di rame diventa un gioco rarefatto di textures e di luce cristallizzata in una miriade di gocce disciolte nel liquido e appena percettibili all’occhio attento. Mentre un libro nell’archivio di un’azienda tessile sfoggia la poesia minimalista delle righe bluastre delle pagine chiuse e l’allure grafica di una cifra numerica. Il paesaggio è un altro banco di prova di nuovi esiti espressivi. Quello dell’Engadina ci appare in un trionfo di bianco con la maestà del Piz Corvatsch sospeso nel cielo. La Skimarathon a Sankt Moritz sembra un quadro astratto e al contempo reale con la fila, perfettamente allineata, di sciatori che occupano il limitare di quella tela bianca che è il fondo innevato. Queste figure sono l’unico elemento di presenza umana che riconosciamo nella selezione di immagini dove spesso il simbolo della vita è conferito all’albero. Lo vediamo, ad esempio, nella zolla di terra arsa dal sole con la pianta di ceci che vi si abbarbica strenuamente. Un panta rei sottaciuto racconta una poetica che si nutre di un credo laico. Le atmosfere cristallizzate nel tempo vivono in un dialogo continuo tra i colori
e gli spazi, le linee e la luce. Gli orizzonti silenziosi tessono i contorni di paesaggi irreali eppure veri. La forma mentis detta legge agli scatti nell’attimo decisivo. Una cartolina dalla Mancia, cara a don Chisciotte, reca la solennità di un paesaggio unico dove la terra brulla contrasta con il cielo azzurro in una lotta perenne tra l’essere e il nulla, la realtà e la finzione. A fare da contraltare c’è il simulacro di un’onda, rarefatta e immersa nel blu, con i suoi flutti imperiosi e l’idea del mare presente, come un Leitmotiv freudiano, nella ricerca dell’artista che si muove con un gusto pittorico all’interno del linguaggio fotografico. Il contesto urbano della vecchia Europa intrisa di modernità offre infinite suggestioni a una cultrice della flânerie in cerca di ispirazione. Brani di città emergono da una mimesi di architettura e natura immortalata a Barcellona dieci anni dopo il primo scatto galeotto, come in un Amarcord. Il cielo di Valencia al crepuscolo urla la bellezza degli edifici Liberty colti da uno sguardo che sfida il cielo e ammanta di luce dorata anche l’albero che ostinato resiste. Londra è un trionfo di textures con il groviglio di icone dell’era postindustriale, che si mescolano al cetriolo di Norman Foster, in cui i campanili hanno ceduto il passo alle torri. Le finestre di un edificio di Dominique Perrault a Milano riflettono, in un gioco di rimandi, altre architetture del tessuto urbano e tracce di vita che restituiscono, come in un enigma, lo specchio dell’animo.

Stefania Briccola

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Punto di Rosa                                                                                                                                                         Nel 2010 Werner Herzog realizza il suo primo documentario in 3D: il film, bellissimo e visionario, racconta di quella straordinaria scoperta che è stata la Grotta Chauvet – un sito preistorico portato alla luce nel sud della Francia alla metà degli Anni Novanta, e che ha svelato un intero mondo di pitture rupestri risalenti a oltre 30.000 anni fa. Guardando ‘The cave of forgotten dreams’, l’emozione di trovarsi di fronte a una simile meraviglia è palpabile. La meraviglia di un mondo – quello umano, nulla di più e nulla di meno – su cui sono passate quantità immense di tempo, impresso su superfici piane. E allora sembra di percepire quale sia stata, nella storia, l’importanza di una parete per esprimersi e per raccontare. Non soltanto perché, notoriamente, sui muri è nata quella che potremmo già definire l’arte, ma anche perché la funzionalità di una superficie, muta e silenziosa, acquista una potenzialità immensa proprio nel momento in cui si fa portavoce di documentazione storica (l’unica possibile, per tanto tempo). Nella sua nuova serie di fotografie, Donatella Simonetti sembra voler testimoniare un po’ di questa meraviglia - catturando con l’obiettivo alcuni dettagli di muri colti in giro per l’Italia. Più precisamente, le pareti straordinarie di Pompei, quelle assolate della Sicilia di Cefalù, e infine quelle della Villa Pliniana di Como – la città in cui vive e lavora.Ciascuno, un luogo che l’ha colpita per una qualche ragione. Ciascuno, un luogo a cui è rimasta legata per il periodo, più o meno breve, in cui l’ha vissuto. Fino a volerlo imprimere nella sua memoria visiva. Eppure, a un primo sguardo nessuna di queste realtà geografiche è davvero distinguibile. Cogliendo dei singoli dettagli in primissimo piano – per usare di nuovo un lessico cinematografico – Donatella ha dato vita di fatto a una serie di cromatismi astratti fortemente pittorici, che riportano con la mente alla pittura informale degli anni Cinquanta, alla scoperta dell’importanza della materialità del colore che si è fatta in quegli anni. Basati sul dialogo tra due opposti cromatici fondamentali - il grigio chiaro e il rosso sanguigno - gli scatti si mescolano nell’occhio di chi li guarda dando vita al punto di rosa a cui si riferisce il titolo. Una caratterizzazione di colore che segna molto bene l’incontro tra due culture geografiche e climatiche opposte, incontrandosi idealmente in un territorio franco che nella realtà, tutto sommato, non esiste. A un secondo livello di lettura però, se si sposta l’occhio oltre l’aspetto strettamente pittorico e compositivo, le fotografie in mostra svelano qualche carattere in più. Svelano, almeno in parte, l’identità del luogo che le ospita. E così si vede che i muri di Cefalù sono pietre incendiate dal sole al tramonto; hanno i toni caldi della terra che solo le estati di certe isole mediterranee sanno offrire. Il mare sembra lontano, l’unico pensiero è alla sabbia e alla fatica del calore abbagliante. Si vede che i muri di Pompei sono uno scrigno di meraviglie da raccontare. Sono la Storia, quei muri. E se l’attualità ci sottopone in continuazione il problema dei suoi crolli, Pompei mostra ancora il suo lato migliore e sa raccontare moltissimo facendo parlare le sue pareti. Donatella ha colto, in uno dei suoi scatti, la traccia figurativa di un cavallo alato – erede della mitologia imperiale all’epoca del suo massimo fulgore. Si vede infine, che il capoluogo lombardo ha quasi altrettanta storia da raccontare. Lo stralcio di intonaco grigio colto dall’obiettivo, ha alle spalle una costruzione edificata nella seconda metà del Cinquecento attorno alla famosa fonte di cui Plinio il Giovane raccontò in una sua lettera a Lucio Licinio Sura. Ed ecco che ancora si torna nel tempo all’epoca romana, dunque. Una stratificazione continua di rimandi storici che le porzioni monocrome presenti in queste stampe ci lasciano solo intuire. Come in un brevissimo ‘Viaggio in Italia’ compiuto molti anni dopo Ghirri, questa serie di scatti apre piccole finestre su zone del Belpaese che restano per lo più degli indizi: all’occhio dello spettatore è lasciato il compito di costruirsi un immaginario soltanto intuibile.

Barbara Meneghel

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Unter den Linden                                                                                                                                          Scattata all’interno di una fermata della metropolitana berlinese, nata nel buio e nella materia, la mia composizione di immagini prende vita, si sfalda, danza e si apre in un migliaio di colorazioni, venature, sfumature. Unter Den Linden è nata per caso, in un passaggio di minuti. L’improvvisazione di un momento, una manciata di tempo ­­lontana dagli spazi urbani immensi di una città fredda. Ma dalla claustrofobica realtà sotterranea si apre il cielo, dal rumore metropolitano ci si accoccola nel silenzio di spazi infiniti. Dal grigiore cittadino agli spazi naturali, la mia metamorfosi porta a riflettere sulla contraddizione tra una realtà in crisi, dura e soffocante, e un’apertura morbida, ariosa, positiva. Dall’immagine prende forma un’estetica mossa e articolata, anelli, griglie, sfumature e colpi di luce che rimandano all’acqua, al cielo, al ghiaccio, alla natura. L’immagine scomposta e ricomposta in mille immagini, caotiche eppure regolate, mescolate eppure sensate.  Il caos di un pattern che in realtà si fa schema. La folgorazione di un attimo nato per caso e diventato arte, lontano da categorie chiuse e aperto alla voglia di natura. Una composizione che gioca sul rapporto tra gli opposti. Un tableau astratto che legge e interpreta l’equilibrio tra positivo e negativo, tra apertura e chiusura, tra dolore e amore. Tra durezza e morbidezza. Nella mia immaginazione il tableau rappresenta un’astrazione del cielo di Berlino; si tratta di un soggetto di per sé infinito con 100 immagini. Ogni singola foto è un particolare di pezzo di cielo differente sia un po’ per forma che per sfumature di colore. Da qui l’idea di rendere acquistabile ogni singola immagine in tiratura unica.

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                                                                                                                                                                          Nella fotografia figurativa contemporanea, una città può essere letta come un campo quasi-neutro di forze visive ed emozionali. Per la sua prima personale da Aus 18, Donatella Simonetti presenta una serie di scatti urbani il cui impatto formale è al limite dell’astrazione, cromatica e geometrica. Realizzate a Berlino nell’arco dell’ultimo anno, le immagini raccontano angoli della città scarnificati ma d’impatto, strappano al contesto squarci di colore e di forme essenziali, e privilegiano un cromatismo piatto e deciso.

Proseguendo la sua linea di ricerca sull’architettura contemporanea (dopo aver studiato, in passato, le città spagnole e Milano), l’artista propone un approccio essenziale e asciutto alla capitale tedesca, di cui sembra nello stesso tempo voler succhiare l’essenza visiva ed esistenziale. Se quindi prevalgono nell’immagine il rigore delle linee geometriche e la purezza del colore, gli scatti assumono anche un significato emotivo che rimanda ai valori di vuoto, imponenza, e ampiezza propri di alcune metropoli contemporanee, di Berlino in particolare.

Una parete colorata, il dettaglio di un aeroporto, le scie allucinate dei fari delle auto di notte, sono universali e particolari al tempo stesso, rimandano a un non-luogo che appartiene al mondo esterno e interno. La figura umana però è del tutto assente: il senso di vuoto e di angoscia heideggeriana, mescolati a sensazioni positive di dinamismo e rigore contemporaneo, sono delegati alla sensibilità dello spettatore, che ritrova nel grande formato lo stesso senso di sublime e imponenza che avverte tra le strade di alcune capitali. Godendo nel frattempo della perfezione tecnica della fotografia pura.

La Berlino notturna e diurna in mostra diventa uno spazio asettico artistico ed emotivo, che gioca sul confine tra la fotografia narrativa della tradizione (Gabriele Basilico, Luigi Ghirri) e arte contemporanea.

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Luce negli Occhi                                                                                                                                                      Quello che l’obiettivo della fotografa Donatella Simonetti vuole dirci, con il suo movimento sensibile, sembra già tutto lì, nel modo in cui lo spazio è allestito. Sembra di poterlo cogliere immediatamente e a colpo d’occhio, abbracciando con un unico sguardo vergine le navate dell’ex convento di Sestri Levante, a un passo dal mare. Molti dicono che questa sia la chiave fondamentale per una mostra ben riuscita: sicuramente, è una nota di merito non trascurabile.

Donatella Simonetti vuole raccontarci, con le sue limpide stampe a colori (qui ne sono presentate 38), il fascino di un connubio elementare eppure sofisticato – quello tra uomo e natura, tra geometrie studiate e materie fisiche, tra monocromia e sfumature cangianti. Detto altrimenti: tra l’architettura da un lato - frutto del genio umano, e dall’altro il mare, prodotto di una natura miracolosa. La scelta di allestire l’ampio spazio espositivo sospendendo le stampe – letteralmente – a ruvide corde navali fissate alle travi del soffitto non è casuale, ma ironica e suggestiva: la corda rimanda alla materia, alla mano dell’uomo, alla concretezza terrena. Ma al tempo stesso rende eterei, proprio perché sospesi a mezz’aria, gli scatti che raccontano di mare e di aria, di terrazze che si buttano nell’acqua. Ci si lascia guidare da pure suggestioni visive, muovendosi senza un percorso obbligato attraverso le stampe appese ad altezza d’occhio, incontrando in uno sguardo tridimensionale onde marine, sospensioni astratte di blu, componenti umane, nuvole nel cielo terso. Questi soggetti sono frutto di una ricerca fatta da Donatella Simonetti anni fa sulle tracce del romanzo di Alessandro Baricco ‘Oceano Mare’, e vengono ora accostate a nuovi squarci di geometrie architettoniche dai colori saturi, che ci raccontano Genova e la Liguria dal loro punto di vista più luminoso. Un lampione inquadrato dal basso accostato a una facciata della Città Vecchia, un dettaglio del Porto progettato da Renzo Piano che sembra dare ancora più luce al cielo. Attorno alle fotografie ‘sospese’ al centro dello spazio, alle pareti altri scatti di varie dimensioni continuano un racconto visivo con suggestioni di interni ed esterni, figurativi e astratti. Ed è un piacere soffermarsi a scoprire prima l’uno e poi l’altro – adesso più attenti al dettaglio che alla suggestione complessiva. Come è un piacere scoprire le due installazioni video che accompagnano il lavoro fotografico di Simonetti, realizzate dal collettivo di video makers comaschi OLO. Nella navata principale – dove probabilmente c’era prima un altare, le inquadrature naturali di squarci di mare, cieli, e abitazioni girate in Olanda, in Belgio e sul lago di Garda, si integrano con perfetta armonia ai racconti delle stampe. Interessante poi, in un punto apparentemente poco visibile alla sinistra dell’altare (ma estremamente suggestivo nel momento in cui lo si scopre dialogare con un ossario sotterraneo del convento) un progetto inedito di OLO. Anoigma nasce come una ricerca sull’apertura dello sguardo, sulla veduta, sull’orizzonte visivo e mentale, per cui gli artisti hanno chiesto a una serie di persone in tutto il mondo di filmare semplicemente quello che vedevano dalla loro finestra.
Non è superfluo, in conclusione, sottolineare l’importanza dello scenario naturale in cui la mostra stessa è inserita. La Baia del Silenzio infatti, a Sestri Levante, offre una piena visione di quello che significa il mare in Liguria – permettendo di continuare ad avere negli occhi la luce, il mare, l’aria e - contemporaneamente – l’architettura.

 

 

 

 

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